“Pig”: storia di un cercatore e del suo maiale da tartufo in un film

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Nicolas Cage dà il volto a un cercatore di tartufi tormentato che deve affrontare un percorso di cambiamento e redenzione 

 

Tartufo e film: il tartufo compare nel cinema più di una volta, ma questo sembra essere un legame ancora poco esplorato da registi e sceneggiatori. Eppure il cinema vive da sempre una grande storia d’amore con il cibo e la buona tavola. La cucina, del resto, associa un’esperienza di gusto (che naturalmente non è esprimibile per immagini) a tutto il valore estetico della sua esperienza visiva: un’esperienza che diventa subito immagine, e quindi cinema. 

 

Da “Il Pranzo di Babette” a “Chef”, solo per citare alcuni esempi, la cucina diventa subito storia, racconto, metafora (“La Grande Abbuffata”): non solo occasione conviviale (pensiamo alla lunga cena che è di fatto il pretesto per la commedia agrodolce di “Perfetti Sconosciuti”), ma momento in cui i personaggi si raccontano, si rivelano. E a volte, tale rivelazione, in un film, passa proprio per… un tartufo

 

A parte i veri trifolau che animano uno dei documentari di maggior successo degli ultimi anni, “The Truffle Hunters”, il tartufo e la sua raccolta sono al centro di un film che è invece di fiction, e racconta un mondo completamente diverso. 

 

Stiamo parlando di “Pig”, scritto e diretto da Michael Sarnoski. Una storia che ha al centro uno degli attori più interessanti, controversi e particolari di Hollywood, Nicolas Cage, e un co-protagonista particolare: un maiale da tartufo

 

Tartufo e film: un universo da raccontare

 

Nicolas Cage è, da sempre, un attore in grado di raccontare personaggi estremi, originali, ai margini eppure inconfondibili. Come Rob Feld, un cercatore di tartufi ritiratosi dalla società per cercare tartufi nei boschi dell’Oregon con Apple, il suo maiale da tartufo. L’unico suo contatto col mondo è Amir, giovane venditore di cibi di lusso a cui Rob vende i tartufi che trova. Ma una notte, un gruppo di criminali malmena Rob e ruba Apple. 

 

Insomma: qui il MacGuffin, e cioè (Hitchcock insegna) l’oggetto che tutti cercano in una storia e che ne muove la trama, è un maiale da tartufo. Ma la vera storia è un’altra, come scopriamo nel film

 

“Pig”: una storia di cambiamento attraverso il tartufo

 

Come un tartufo che si mostra appena quando lo ritroviamo nel terreno e poi rivela il suo gusto e la sua fragranza, in questo film Rob rivela a poco a poco il suo passato di chef di lusso interrotto da un grave lutto, mentre Amir rivela il suo rapporto col cibo come ricordo di un momento felice. 

 

Il film può sembrare un classico thriller incentrato su una storia di vendetta (come la saga di John Wick, con un Keanu Reeves killer che torna a uccidere dopo il rapimento del suo cane, ultimo legame con gli affetti del suo passato), ma diventa qualcosa di più: una storia sul cibo e sul tartufo come ricordo, come affetto, come legame. Il gusto come legame con la vita, insomma. 

 

Tanto che (senza fare troppi spoiler) l’antagonista del film viene portato a più miti consigli proprio da… una cena. 

 

Un maiale da tartufo diventa, insomma, il simbolo di un trauma da affrontare e di una redenzione da iniziare: una storia più delicata e struggente di quanto la sua trama possa raccontare. E Cage ci mette del suo, evitando i gigionismi e le esagerazioni che a volte fanno deragliare le sue interpretazioni, ma giocando invece a togliere, a eliminare: less is more, e in effetti Cage convince, lasciando dentro di sé i sentimenti e le emozioni. 

 

Sotto la superficie, proprio come nel caso del tartufo, c’è un tesoro: in questo film, sotto la superficie di Rob, Cage trova un universo di vero dolore, veri sentimenti, vere passioni. 

 

Il tartufo: un fungo ipogeo capace scatenare un’emozione in un film

 

È interessante vedere come siano proprio i tartufi (e un maiale da tartufo) a scatenare questa emozione, a fare da filo conduttore a una storia di cambiamento e redenzione. Forse perché il loro gusto e il loro aroma vanno scoperti, capiti, raccontati, per essere apprezzati nel modo migliore. 

 

In un mondo di storie e di sapori che a volte diventano troppo superficiali, abituandoci a un’immediatezza di gusto e di significato che troppo spesso diventa banalità, il tartufo (e un film come “Pig”) rifiuta la semplificazione. 

 

Ci chiede invece di raffinare il nostro gusto, di non fermarci alla superficialità di una prima impressione, ma invece di capire la complessità, che si tratti di un fungo ipogeo o di un film. Un tartufo non è facile da trovare, ma il suo valore, economico, culinario e persino affettivo, può essere enorme. 

 

Perché è un gusto che ci riporta alla terra e alle sue passioni. E come sempre, quando un’esperienza ci colpisce profondamente, diventa ricordo, aneddoto, piacevole reminiscenza. Insomma: il tartufo diventa narrazione. Come certi film, come “Pig”: non immediato, non “facile”, ma in grado di lasciare il segno.

 

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